Doppio estratto da ”Ultimo Trip”

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Va bene, l’ho fatto di nuovo, ma il capitolo 8 aveva bisogno di una piccola aggiunta, ne varrà la pena. Questo non vuol dire che non vi possa far leggere delle parte dai capitoli 8 e 9.

Tra pochi giorni, doppio capitolo.

estratto da ”08. Neve ad Agosto”

Quando riaprì gli occhi, mi ritrovai con la faccia immersa nella sabbia. Sentivo ancora l’odore del mare appiccicato alle narici, mescolato a quello pungente della benzina. Mi trovavo a qualche metro dalla macchina capovolta, con le sue ruote che ruotavano pigramente, cigolando doloranti in mezzo al suono delle onde e lo scricchiolio della sabbia sotto le scarpe. Due figure nere camminavano intorno alla carcassa, incuriosite. Cercai di convincermi che non fossero spiriti né il tristo mietitore; solo due persone che indossano una tunica nera con il cappuccio alzato, in mezzo a una spiaggia, di notte, in piena estate. Si guardarono intorno e poi alzarono i cappucci appuntiti verso la cima del promontorio. Scossero la testa e mi parve di sentirli chiedersi come diavolo fosse successo. Girai la testa verso la spiaggia. Il cielo era pennellato di viola e blu, senza una stella in cielo, solo la luna piena, tonda a lievitare a pelo dell’acqua. Una delle figure si stagliò contro l’orizzonte, e la vidi prendere tra le braccia il corpicino senza vita di Dominique. Allungai un braccio verso di loro e cercai di far uscire qualche parola dal sangue che mi riempiva la bocca. Uno di loro doveva aver sentito quel gorgoglio in lontananza e si girò verso di me.

«È vivo!» esclamò uno di loro, sorpreso. S’inginocchiò vicino a me ad esaminarmi. Non c’erano occhi né viso all’interno del cappuccio: solo buio e nient’altro che buio. La figura mi girò intorno e mi sollevò dalla sabbia, come l’altro aveva appena fatto con Dominique. Prima che i contorni della luna cominciassero a scomparire in mezzo al cielo violaceo, prima che il buio tornasse a inghiottire ogni cosa, sentì un’ultima frase uscire dal cappuccio della figura che teneva la mia bambina, pronunciata con tutta la paura e l’insicurezza di chi stava per scoppiare in un pianto disperato.

«Io… io credo sia morta, Albé…»

Estratto da ”09. Arto dopo Arto. Dente dopo Dente”.

Alla fine, pare che ogni storia fosse vera, dalla più inquietante alla meno ridicola.

Quando la Luce si sarebbe avvicinata a forgiare un Nuovo Mondo dalla materia grezza di quello vecchio, Fathima si sarebbe palesata finalmente tra i suoi Fratelli e, con lei, le piante e la terra che hanno custodito e protetto il suo spirito. Il cielo sarebbe caduto, la terrà si sarebbe aperta in due, ma ogni Fratello sarebbe sopravvissuto, avvolto nel profumato abbraccio dell’edera, fino a che il tiepido calore di una Nuova Luce non avrebbe lambito ogni foglia e ogni radice.

Strauss li invidiava, i suoi Fratelli. Alla fine, il tempo aveva dato loro ragione, portando con sé nuove rivelazioni. Scoprirono in fretta che avrebbero misurato il passare di ogni minuto che li separava dall’Avvento con ogni singola goccia di sangue, ogni dente e ogni arto caduto dal portale ormai sgombro dei loro Fratelli. Ma non c’era da disperarsi, non per troppo. Sangue e viscere non avrebbero lastricato i pavimenti, non troppo a lungo, assorbiti dalle piante come nutrimento. Nessuno aveva fatto loro false promesse, nessuna certezza che l’arrivo di Fathima non avrebbe portato con sé nuovi dubbi e domande, ma questo non avrebbe impedito alle loro menti di trovarsi di fronte a un bivio. Qualcuno avrebbe pensato che non era per questo che avevano scambiato la loro vita e sprecato i loro talenti e i loro affetti. Qualcuno si sarebbe chiesto come avesse fatto il tutto a trasformarsi in merda così in fretta. Qualcun altro non avrebbe avuto il tempo di chiederselo, probabilmente, nel momento in cui l’edera cominciava ad avvolgersi stretta intorno alle loro teste, i loro polsi e le caviglie. E cosa dire di quelli, che vedendo le piante costruire una fortezza intorno all’hotel, tappando ogni finestra, ogni porta, si sono chiesti: «Dov’è la Luce?»

V. rimase ferma sulla soglia. Alle sue spalle, Strauss aspettava, guardando la sua testa girare in alto e di lato, meravigliata.

«Devo portare il fucile?» le chiese.

«Non lo so,» rispose lei. Poi, dopo un altro attimo di silenzio meravigliato. «Oddio, sì, portalo. Diamoci una chance.»

 

 

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